Se
è vero che, come dicono gli inglesi, non bisogna giudicare un libro dalla copertina, è anche vero che la bellissima copertina de
L'albero della vergogna ci introduce subito nella storia raccontata
nel romanzo. In primo piano, infatti, troviamo un uomo di spalle,
perso nella contemplazione di un albero maestoso. Siamo nel 1966 e a
Gexto, piccola comunità nei Paesi Baschi, l'uomo è conosciuto
semplicemente come “il pover'uomo della baracca”. Da circa
trent'anni, infatti, vive in una misera casupola di assi e lamiera,
senza luce né acqua corrente, e trascorre il tempo curando un albero
di fichi (o forse fioroni?). Lo annaffia con attenzione, allontana
gli animali di passaggio e respinge le offerte di acquisto del
terreno del vicino, convinto che sotto al fico
ci sia chissà quale tesoro. Nel tempo, si è sparsa la voce che
l'uomo sia una specie di santone e arrivano frotte di pellegrini, ma
l'uomo sembra quasi non accorgersi della loro presenza. Ogni tanto
riceve la visita di un piccolo gruppo di uomini e di una ragazza, e
proprio questo ci
porta all'immagine che intravediamo vicino all'albero: alcuni adulti
e, in mezzo a loro, un bambino. Nella lunga narrazione (o
confessione?) fatta in prima persona dall'uomo scopriamo che il suo
nome è Rogelio Cerón
e trent'anni prima, poco più che ventenne, faceva parte di un gruppo
di falangisti, la milizia che, durante la guerra civile precedente
alla dittatura di Francisco Franco, eliminava gli oppositori del
Caudillo e in particolare i comunisti. In un clima di terrore, nel
quale le delazioni servivano spesso a sanare vecchi rancori o a
ottenere piccoli vantaggi, moltissime persone venivano prelevate
dalle loro case nel cuore della notte e non facevano più ritorno. È
proprio in una di queste notti che Rogelio e i suoi compagni portano
via un maestro di scuola e uno dei suoi figli, fra le grida delle
donne di casa e sotto gli occhi del piccolo Gabino, il figlio minore.
Gabino non pronuncia una parola, ma il suo sguardo è talmente carico
di odio che Rogelio vi legge una promessa di vendetta. Notte dopo
notte, questo pensiero si impossessa della sua mente e il senso di
colpa pervade la sua vita, insieme al desiderio di espiazione.
L'albero della vergogna è un racconto magistrale di dolore e
vendetta, una riflessione sulle motivazioni che spingono le persone
ad agire in un certo modo - Rogelio non è molto convinto dai proclami della Falange, eppure ha deciso di farne parte -, ma anche
una richiesta struggente di comprensione e di perdono. Con una
scrittura semplice e asciutta, l'autore ci consegna il ritratto di un
uomo nel quale i ruoli di carnefice e di vittima, all'inizio ben
distinti, finiscono per sovrapporsi. È
una narrazione ipnotica, a tratti quasi intrisa di magia,
profondamente toccante. Credo che sia uno dei romanzi più belli che
ho letto negli ultimi mesi e spero che vengano pubblicate in Italia
anche le altre opere di Ramiro Pinilla.
Traduzione
di Raul Schenardi, Fazi, 279 pagine, 18 euro, ebook disponibile.
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