sabato 11 dicembre 2021

Stirpe e vergogna di Michela Marzano: la memoria e l'oblio in Italia

 

Michela Marzano, classe 1970, docente di filosofia all’università di Parigi René Descartes ed ex deputata, ha sempre creduto di provenire da una famiglia di sinistra. Il padre, professore alla Sapienza, ha infatti educato lei e il fratello ai valori dell’uguaglianza, del rispetto e della solidarietà. Era proibito dire “Chi se ne frega!”, perché costituiva un richiamo al “Me ne frego!” di fascista memoria. La Marzano, durante la sua esperienza parlamentare, si è contrapposta ai partiti di destra e si è battuta per difendere i diritti delle persone omosessuali e transessuali. Si può quindi comprendere il suo sgomento quando le capita in mano una copia del certificato di battesimo di suo padre e scopre che invece di chiamarsi solo Ferruccio, come lei pensava, suo padre, nato nel 1936, all’anagrafe è registrato come Ferruccio Michele Arturo Vittorio Benito. Vittorio come il re e Benito come il Duce. Non ne aveva mai sentito parlare, ma quando chiede spiegazioni il padre, con grande serenità, risponde solo: “Tuo nonno era fascista”. Aggiunge che l’aveva sentito ammettere dal padre nel 1953, ma poi dice di non ricordare molto altro. Ma come, si chiede Michela, e gli ideali con i quali sono stata allevata? Com’è possibile che a casa non se ne sia mai discusso? Michela comincia così una lunga e complessa ricerca fra archivi cartacei e online, in biblioteche e cantine, che la porta a scoprire che il nonno Arturo, nato alla fine dell’Ottocento, arruolatosi nella Grande Guerra, era poi diventato un fascista della prima ora e non aveva mai preso le distanze dall’ideologia di Mussolini. Michela si immerge sempre di più in questa parte taciuta e nascosta della sua famiglia, un pezzo di storia del quale nessuno parla volentieri, limitandosi ad ammettere a denti stretti che sì, il nonno era fascista, ma era anche una brava persona, un magistrato competente e un uomo sempre pronto ad aiutare chi aveva bisogno. Ma è davvero possibile far convivere queste due dimensioni, si chiede sua nipote, il ritratto personale di un uomo buono e l’aspetto politico di un sostenitore della dittatura? Il libro si svolge su un doppio binario: da una parte il lavoro di scavo doloroso e faticoso, ma necessario, della Marzano nella storia della sua famiglia e della sua vita, dall’altra il racconto degli eventi della politica italiana dalla Marcia su Roma fino al secondo dopoguerra. L’autrice constata che il processo di defascistizzazione delle istituzioni del nostro Paese non si è mai concretizzato, anzi, la scelta di un’amnistia generalizzata ha consentito a tantissimi esponenti di rilievo del partito fascista di continuare a rivestire alte cariche e condizionare così la vita politica italiana per molti anni. L’oblio può essere sembrato un’opzione che conduceva alla pacificazione sociale, ma la mancanza di un’autentica riflessione collettiva sul vero significato del ventennio fascista comporta il rischio di ripetere i medesimi errori e orrori, ci ammonisce la scrittrice. Solo la conservazione della memoria del passato può aiutarci a condannare con fermezza le leggi razziali, l’esaltazione della violenza e l’autoritarismo e ad abbandonare la retorica degli “italiani brava gente” e “Mussolini ha fatto anche cose buone”. E non crediamo che si tratti di eventi ormai superati, di sbagli che non commetteremo più: un’interessante inchiesta di Fanpage.it ha mostrato che nei movimenti no vax e no green pass che manifestano nelle piazze si infiltrano i partiti di estrema destra, che strumentalizzano quelle istanze per trovare un seguito e cercare di avvicinarsi ai palazzi del potere. E’ ancora valido l’ammonimento di Primo Levi: “Meditate che questo è stato”. Il passato può ritornare e solo la memoria può aiutarci a non cadere di nuovo negli stessi errori.

Post scriptum: quando sto per pubblicare questo post, sento alla televisione la notizia della morte di Enrico Pieri, uno degli ultimi sopravvissuti dell’eccidio nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, avvenuto il 12 agosto del ’44. Aveva dedicato molte energie a raccontare ai giovani la violenza cieca che in quel giorno causò la morte di 560 persone, 130 delle quali erano bambini. Pieri si è spento a 87 anni, ora tocca a noi, anche se non siamo stati testimoni diretti, continuare l’opera di racconto delle atrocità della guerra.