Ripropongo un post che avevo scritto per un altro mio blog di recensioni, Il cappotto di Gogol', che poi ho chiuso.
Titolo: Il birraio di Preston
Autore: Andrea Camilleri
Casa
editrice:
Sellerio
Pagine: 248
Prezzo: 10 euro
Andrea Camilleri è noto soprattutto per aver creato la figura del
commissario Montalbano, ma ha scritto anche molti altri romanzi,
anch’essi ambientati in una Sicilia immaginaria ma non molto
lontana da quella reale. E’ il caso del ‘Birraio di Preston’
(1995), in cui l’azione si svolge nel 1864, pochi anni dopo l’Unità
d’Italia; la narrazione prende spunto da un evento storicamente
avvenuto, cioè la decisione del prefetto (fiorentino di origine) di
far rappresentare nel teatro di Caltanissetta l’opera lirica ‘Il
birraio di Preston’. I cittadini erano già scontenti per il
malgoverno centrale, e le difficoltà di comprensione fra la
mentalità toscana del prefetto e quella locale non migliorarono la
situazione.
Come in tutte le sue opere, Camilleri usa una lingua mista di italiano e siciliano che sulle prime può disorientare il lettore inesperto, ma poi si rivela di facile comprensione ed estremamente duttile. Per caratterizzare meglio i personaggi, ad ognuno è attribuito il dialetto tipico della zona da cui proviene. Ogni capitolo ha un titolo ispirato ad un testo più o meno famoso, e, come spiega l’autore, la successione in cui i capitoli sono proposti non è vincolante, anzi, il lettore può leggerli nell’ordine che preferisce.
La seconda ragione per cui mi piace ‘Il birraio di Preston’ è che fa ridere. Ma tanto. A volte è una risata amara, altre volte si ride di gusto. Come spiegava Camilleri in una puntata di ‘Che tempo che fa’ (02/05/2010), nel nostro paese si pensa spesso che la qualità di un’opera letteraria dipenda da quanto è seria, o per meglio dire triste. Ma dove sta scritto che se i lettori non piangono il romanzo non è valido? Far ridere è un’arte, e non è da tutti. Per concludere vi lascio con un’altra citazione (anche questa a memoria, quindi scusatemi se non sono proprio le parole esatte): durante la rappresentazione del vituperato ‘Birraio’, uno dei personaggi canta ‘Chiamate i timballi, i flauti, i pifferi e i corni’. E dal pubblico una voce gli risponde prontamente: ‘I corni non serve chiamarli, quelli vengono da soli’.
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