giovedì 3 ottobre 2013

Helen Forrester (post cumulativo)



Avevo iniziato a leggere Twopence to Cross the Mersey senza particolari aspettative: non conoscevo l’autrice e la storia non sembrava molto allegra. Helen è la primogenita di una famiglia benestante che perde tutto nella crisi del ’29 e si trasferisce nei quartieri degradati di Liverpool per ricominciare da capo. I genitori di Helen hanno la deplorevole tendenza a sfornare figli (sette in totale) e poi a disinteressarsene: danno per scontato che la primogenita, che ha dieci anni quando il racconto inizia, accantonerà di buon grado tutti i propri sogni per dedicarsi ai fratelli e alle sorelle. La madre, abituata alle conversazioni brillanti con gli intellettuali e ad avere varie persone di servizio, fatica moltissimo ad abituarsi alla nuova vita. Il padre, che ha fatto delle speculazioni sbagliate e non si è mai del tutto ripreso dall’orrore della Grande Guerra, deve accettare un lavoro umile per mantenere la famiglia.


Con questo materiale autobiografico, molti scrittori avrebbero potuto calcare la mano sui toni patetici o addirittura melensi. Il bello della Forrester, invece, è che non si piange mai addosso: lo stile è sempre asciutto ed essenziale, i fatti vengono mostrati per quello che sono e il lettore è libero di trarre le proprie conclusioni. In quattro volumi (Twopence to Cross the Mersey, Liverpool Miss, By the Waters of Liverpool, Lime Street at Two) Helen Forrester racconta la storia della propria famiglia dal ’29 fino al secondo dopoguerra: una famiglia segnata da conflitti e litigi, in cui le normali discussioni causate dalle differenze caratteriali sono esacerbate dalla povertà estrema. Non c’è mai abbastanza cibo e mancano elementi essenziali della vita quotidiana, come il sapone e le coperte (per non parlare del riscaldamento o dell’acqua corrente). I familiari di Helen danno per scontato che lei stia sempre a casa e la ragazza dovrà lottare per poter studiare e poi andare a lavorare. Sullo sfondo, la Liverpool dell’epoca: una città povera e sporca, i cui abitanti però sono capaci di gentilezza e generosità. Mi ha colpito molto la parte sulla Seconda Guerra Mondiale: la città è sconvolta dai bombardamenti e appena tramonta il sole bisogna oscurare tutti i vetri per evitare di dare punti di riferimento alla Luftwaffe. Una sera, mentre torna dal lavoro, il padre di Helen inciampa in un mucchio di detriti e cade. Un passante lo sente, si avvicina e lo aiuta a rialzarsi. Nella caduta il signor Forrester ha perso la sua torcia e l’uomo si offre di accompagnarlo a casa. I due si incamminano e il padre di Helen arriva a casa sano e salvo. Ringrazia il suo soccorritore e si meraviglia di come sia riuscito a portarlo a destinazione nel buio fitto, senza neanche una luce flebile: “Oh, non ne ho bisogno” risponde l’altro “Sono nato cieco”. Ecco, questo episodio del cieco che accompagna uno che ci vede in una città stravolta dalla guerra mi è rimasto impresso e credo che costituisca una delle testimonianze - di cui i libri della Forrester sono ricchi – di come sia possibile vivere in condizioni estremamente difficili.


Credo che questi volumi non siano mai stati tradotti in italiano, secondo me meriterebbero.  

2 commenti:

  1. L'episodio che citi è toccante; tra l'altro, mi sembra di averlo già sentito, da qualche parte. Eppure non conosco affatto questa autrice! Temo rimarrà un mistero :)

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  2. Ho scoperto che un episodio simile è accaduto anche a un mio parente, quindi forse durante la guerra non erano casi del tutto isolati. Bisognerebbe indagare :)

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