Avevo iniziato a
leggere Twopence to Cross the Mersey
senza particolari aspettative: non conoscevo l’autrice e la storia non sembrava
molto allegra. Helen è la primogenita di una famiglia benestante che perde
tutto nella crisi del ’29 e si trasferisce nei quartieri degradati di Liverpool
per ricominciare da capo. I genitori di Helen hanno la deplorevole tendenza a
sfornare figli (sette in totale) e poi a disinteressarsene: danno per scontato
che la primogenita, che ha dieci anni quando il racconto inizia, accantonerà di
buon grado tutti i propri sogni per dedicarsi ai fratelli e alle sorelle. La
madre, abituata alle conversazioni brillanti con gli intellettuali e ad avere
varie persone di servizio, fatica moltissimo ad abituarsi alla nuova vita. Il
padre, che ha fatto delle speculazioni sbagliate e non si è mai del tutto
ripreso dall’orrore della Grande Guerra, deve accettare un lavoro umile per
mantenere la famiglia.
Con questo
materiale autobiografico, molti scrittori avrebbero potuto calcare la mano sui
toni patetici o addirittura melensi. Il bello della Forrester, invece, è che
non si piange mai addosso: lo stile è sempre asciutto ed essenziale, i fatti
vengono mostrati per quello che sono e il lettore è libero di trarre le proprie
conclusioni. In quattro volumi (Twopence
to Cross the Mersey, Liverpool Miss,
By the Waters of Liverpool, Lime Street at Two) Helen Forrester
racconta la storia della propria famiglia dal ’29 fino al secondo dopoguerra:
una famiglia segnata da conflitti e litigi, in cui le normali discussioni causate
dalle differenze caratteriali sono esacerbate dalla povertà estrema. Non c’è
mai abbastanza cibo e mancano elementi essenziali della vita quotidiana, come
il sapone e le coperte (per non parlare del riscaldamento o dell’acqua
corrente). I familiari di Helen danno per scontato che lei stia sempre a casa e
la ragazza dovrà lottare per poter studiare e poi andare a lavorare. Sullo
sfondo, la Liverpool dell’epoca: una città povera e sporca, i cui abitanti però
sono capaci di gentilezza e generosità. Mi ha colpito molto la parte sulla Seconda
Guerra Mondiale: la città è sconvolta dai bombardamenti e appena tramonta il
sole bisogna oscurare tutti i vetri per evitare di dare punti di riferimento
alla Luftwaffe. Una sera, mentre torna dal lavoro, il padre di Helen inciampa
in un mucchio di detriti e cade. Un passante lo sente, si avvicina e lo aiuta a
rialzarsi. Nella caduta il signor Forrester ha perso la sua torcia e l’uomo si
offre di accompagnarlo a casa. I due si incamminano e il padre di Helen arriva
a casa sano e salvo. Ringrazia il suo soccorritore e si meraviglia di come sia
riuscito a portarlo a destinazione nel buio fitto, senza neanche una luce
flebile: “Oh, non ne ho bisogno” risponde l’altro “Sono nato cieco”. Ecco,
questo episodio del cieco che accompagna uno che ci vede in una città stravolta
dalla guerra mi è rimasto impresso e credo che costituisca una delle testimonianze
- di cui i libri della Forrester sono ricchi – di come sia possibile vivere in
condizioni estremamente difficili.
Credo che questi
volumi non siano mai stati tradotti in italiano, secondo me meriterebbero.
L'episodio che citi è toccante; tra l'altro, mi sembra di averlo già sentito, da qualche parte. Eppure non conosco affatto questa autrice! Temo rimarrà un mistero :)
RispondiEliminaHo scoperto che un episodio simile è accaduto anche a un mio parente, quindi forse durante la guerra non erano casi del tutto isolati. Bisognerebbe indagare :)
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