Questo breve libro, a metà fra l'inchiesta e il romanzo, inizia con il racconto delle ultime ore di vita del capitano di fregata Natale De Grazia, un ufficiale della Marina Militare che il 12 dicembre del 1995 era partito da Reggio Calabria insieme a due carabinieri per andare a La Spezia. Il capitano non stava andando in vacanza: il motivo del suo viaggio era indagare sull'affondamento in circostanze poco chiare di alcune navi. I tre uomini si fermano a cena e ripartono in fretta, ma all'altezza di Nocera Inferiore il capitano accusa un malore e muore poco dopo, ufficialmente a causa di un arresto cardio-circolatorio, anche se da subito sorgono dei dubbi su questa versione e nel 2012 una perizia stabilirà che De Grazia è deceduto per una causa tossica. Dopo la sua morte, le indagini sulle navi a perdere rallentano e dopo poco tempo si fermano. Su cosa stava indagando il capitano? Carlo Lucarelli, che spesso si è occupato di fatti di cronaca, conduce il lettore nei meandri di una di quelle storie nere che nessuno vorrebbe mai scoprire, ma che si verificano fin troppo spesso. L'espressione “navi a perdere”, infatti, indica delle imbarcazioni che la criminalità organizzata riempie di rifiuti tossici e che vengono poi fatte affondare deliberatamente con il loro carico che inquina il mare, gli organismi marini e tutti noi. Lo smaltimento dei rifiuti è un business estremamente lucrativo (vi consiglio in proposito l'inchiesta di Fanpage Bloody Money) e in particolare quello dei rifiuti tossici, per i quali è spesso difficile trovare una soluzione, è un piatto ricco per la malavita. L'autore svela quindi un quadro nel quale ecomafie senza scrupoli, con la complicità di politici, faccendieri e equipaggi delle navi - spesso formato da stranieri che dopo l'affondamento delle imbarcazioni svaniscono nel nulla - ricavano un lauto guadagno facendo sparire diossina, torio (che è radioattivo) e rifiuti tossici di vario genere. Lucarelli porta il lettore in un percorso che parte dalle indagini del capitano De Grazia fino alla morte della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e del suo cineoperatore di fiducia Miran Hrovatin, assassinati a Mogadiscio, in Somalia, il 20 marzo del 1994, proprio nel corso di un'inchiesta sui rifiuti tossici prodotti nei Paesi del “primo mondo” e inviati nelle nazioni africane in cambio di armi e tangenti. Non si contano i depistaggi, le contraddizioni, i passaggi non chiari nelle indagini sulla morte della giornalista. Luciana Alpi, madre di Ilaria, si è battuta per 24 anni per avere una verità ufficiale sulla morte della figlia ed è scomparsa a giugno del 2018 senza essere riuscita ad arrivare ai veri mandanti dell'assassinio di Ilaria e di Miran Hrovatin. Forse un giorno sapremo chi ha decretato che Ilaria Alpi e il suo cineoperatore avevano scoperto troppe cose imbarazzanti e bisognava tappargli la bocca. Nel frattempo, leggete Navi a perdere e ricordatevi che nel 2018 nel mondo 80 giornalisti sono stati uccisi perché avevano scelto di raccontare la verità.
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