venerdì 3 gennaio 2020

Sorry We Missed You: la moderna schiavitù del lavoro precario


Regia di Ken Loach, nelle sale italiane dal 2 gennaio 2020, trailer

Ricky e Abby vivono a Newcastle con il figlio adolescente Sebastian e l'undicenne Liza Jane. Si vogliono bene, ma Ricky, dopo aver perso il lavoro nell'edilizia, convince la moglie a vendere l'unica automobile di famiglia per acquistare un furgone con il quale diventare un corriere. All'inizio del film, Ricky si trova al colloquio con il suo futuro capo, Maloney, che gli spiega subito che in realtà non lavorerà per lui, ma con lui, che sarà padrone del proprio destino, insomma, un lavoratore autonomo. L'uomo, quasi strangolato dai pagamenti e dai debiti e incantato dal miraggio di grandi guadagni, comincia così la nuova carriera. Abby, che fa l'assistente domiciliare ad anziani e disabili e utilizzava l'auto per spostarsi da una casa all'altra, si ritrova a dipendere dagli orari degli autobus e, poiché è pagata a visite, lavora dalla mattina presto a sera inoltrata. Il lavoro di corriere si rivela più faticoso e difficile del previsto: Ricky deve correre come un matto fra le consegne da fare, controllato a vista dal dispositivo elettronico della ditta e sotto la minaccia costante di sanzioni in denaro se ritarda di qualche minuto, o Dio ne scampi, un giorno ha un imprevisto e non può lavorare. Non è difficile immaginare che in questo vortice la famiglia vada nel caos: Seb accumula assenze a scuola, è intrattabile, Liza perde il sonno, i genitori non riescono a occuparsi di loro come vorrebbero. Abby ha una sola regola sul lavoro, che è trattare i propri assistiti come tratterebbe la propria madre, quindi è una brava persona, ma è difficile reggere i ritmi che le vengono richiesti. Anche Ricky diventa sempre più nervoso, fra i clienti maleducati, la stanchezza dopo quattordici ore al giorno al volante e i grattacapi causati dal figlio. Ken Loach racconta in modo asciutto e quasi documentaristico, senza mai cedere al patetico, la vita quotidiana di una famiglia come tante, stretta nella morsa di un lavoro che richiede sempre maggiore flessibilità e impegno, erode tutti gli spazi, ma in cambio non offre uno stipendio dignitoso né garantisce sicurezze per il futuro. Il film non propone soluzioni (non è questo il compito di registi e attori), ma fotografa una situazione che si potrebbe trasporre senza difficoltà a Milano, a Bari, in una qualsiasi provincia italiana. Elemento essenziale per la sopravvivenza e la serenità della famiglia Turner, infatti, è un lavoro sicuro, che permetta di arrivare a un salario decoroso, consenta orari ragionevoli e tuteli le persone in caso di imprevisti o problemi di salute. La precarietà senza regole e i “lavori autonomi” che sono a tutti gli effetti schiavitù senza nessun diritto non permettono di vivere in condizioni accettabili. Non sta al cinema risolvere questioni di questa complessità, ma Ken Loach ci invita a riflettere e a non restare indifferenti.