Michela Marzano, classe
1970, docente di filosofia all’università di Parigi René Descartes ed ex
deputata, ha sempre creduto di provenire da una famiglia di sinistra. Il padre,
professore alla Sapienza, ha infatti educato lei e il fratello ai valori
dell’uguaglianza, del rispetto e della solidarietà. Era proibito dire “Chi se
ne frega!”, perché costituiva un richiamo al “Me ne frego!” di fascista
memoria. La Marzano, durante la sua esperienza parlamentare, si è contrapposta
ai partiti di destra e si è battuta per difendere i diritti delle persone
omosessuali e transessuali. Si può quindi comprendere il suo sgomento quando le
capita in mano una copia del certificato di battesimo di suo padre e scopre che
invece di chiamarsi solo Ferruccio, come lei pensava, suo padre, nato nel 1936,
all’anagrafe è registrato come Ferruccio Michele Arturo Vittorio Benito.
Vittorio come il re e Benito come il Duce. Non ne aveva mai sentito parlare, ma
quando chiede spiegazioni il padre, con grande serenità, risponde solo: “Tuo
nonno era fascista”. Aggiunge che l’aveva sentito ammettere dal padre nel 1953,
ma poi dice di non ricordare molto altro. Ma come, si chiede Michela, e gli
ideali con i quali sono stata allevata? Com’è possibile che a casa non se ne
sia mai discusso? Michela comincia così una lunga e complessa ricerca fra
archivi cartacei e online, in biblioteche e cantine, che la porta a scoprire
che il nonno Arturo, nato alla fine dell’Ottocento, arruolatosi nella Grande
Guerra, era poi diventato un fascista della prima ora e non aveva mai preso le
distanze dall’ideologia di Mussolini. Michela si immerge sempre di più in
questa parte taciuta e nascosta della sua famiglia, un pezzo di storia del quale
nessuno parla volentieri, limitandosi ad ammettere a denti stretti che sì, il
nonno era fascista, ma era anche una brava persona, un magistrato competente e
un uomo sempre pronto ad aiutare chi aveva bisogno. Ma è davvero possibile far
convivere queste due dimensioni, si chiede sua nipote, il ritratto personale di
un uomo buono e l’aspetto politico di un sostenitore della dittatura? Il libro
si svolge su un doppio binario: da una parte il lavoro di scavo doloroso e
faticoso, ma necessario, della Marzano nella storia della sua famiglia e della
sua vita, dall’altra il racconto degli eventi della politica italiana dalla
Marcia su Roma fino al secondo dopoguerra. L’autrice constata che il processo
di defascistizzazione delle istituzioni del nostro Paese non si è mai
concretizzato, anzi, la scelta di un’amnistia generalizzata ha consentito a
tantissimi esponenti di rilievo del partito fascista di continuare a rivestire
alte cariche e condizionare così la vita politica italiana per molti anni.
L’oblio può essere sembrato un’opzione che conduceva alla pacificazione
sociale, ma la mancanza di un’autentica riflessione collettiva sul vero
significato del ventennio fascista comporta il rischio di ripetere i medesimi
errori e orrori, ci ammonisce la scrittrice. Solo la conservazione della memoria
del passato può aiutarci a condannare con fermezza le leggi razziali,
l’esaltazione della violenza e l’autoritarismo e ad abbandonare la retorica
degli “italiani brava gente” e “Mussolini ha fatto anche cose buone”. E non
crediamo che si tratti di eventi ormai superati, di sbagli che non commetteremo
più: un’interessante inchiesta di Fanpage.it ha mostrato che nei movimenti no vax
e no green pass che manifestano nelle piazze si infiltrano i partiti di estrema
destra, che strumentalizzano quelle istanze per trovare un seguito e cercare di
avvicinarsi ai palazzi del potere. E’ ancora valido l’ammonimento di Primo
Levi: “Meditate che questo è stato”. Il passato può ritornare e solo la memoria
può aiutarci a non cadere di nuovo negli stessi errori.
Post scriptum: quando sto
per pubblicare questo post, sento alla televisione la notizia della morte di Enrico Pieri, uno degli ultimi sopravvissuti dell’eccidio nazifascista di Sant’Anna
di Stazzema, avvenuto il 12 agosto del ’44. Aveva dedicato molte energie a
raccontare ai giovani la violenza cieca che in quel giorno causò la morte di 560
persone, 130 delle quali erano bambini. Pieri si è spento a 87 anni, ora tocca
a noi, anche se non siamo stati testimoni diretti, continuare l’opera di
racconto delle atrocità della guerra.